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dicembre 23, 2020
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Il 21 giugno dell’anno 921 una spedizione araba lascia Baghdad, capitale dell’impero abbaside, per intraprendere un viaggio verso la terra dei Bulgari del Volga e la loro capitale, Bulghar, situata poco a sud dell’attuale città russa di Kazan.
Della spedizione non si sa nulla, se non le notizie trascritte nel resoconto di uno degli inviati, Ahmad ibn Fadlan. Arabo o persiano di una certa cultura, Ibn Fadlan riporta nelle sue carte le sensazioni di un viaggio lungo, faticoso, e a tratti pericoloso.
Il resoconto, sopravvissuto purtroppo incompleto, è giunto fino al secolo scorso quasi inosservato; così è stato finché esso non ha attirato su di sé l’attenzione di studiosi di varie nazionalità, soprattutto per le descrizioni di tutti quei popoli “barbari” dei quali Ibn Fadlan fornisce spesso un ritratto unico e dettagliato.
I Rus descritti da Ibn Fadlan, quando chiamati in causa, sono stati spesso utilizzati a supporto di teorie “normaniste”, volte cioè alla dimostrazione di una presunta identità scandinava di tutto il popolo Rus.
Finora non è giunto né il manoscritto originale né una copia completa del testo, la fonte più antica a tramandarne almeno una parte è il Mu‘jam al-Buldan del geografo arabo Yaqut Al-Hamawi (1179–1229).
IL VIAGGIO FINO AL VOLGA
Molto probabilmente la figura di Ahmad ibn Fadlan ibn al-Abbas ibn Rashid ibn Hammad sarebbe oggi sconosciuta se non fosse per l’unico suo scritto pervenutoci, ovvero il resoconto del suo viaggio fino al Volga svoltosi tra il 921 e il 922.
TRADUZIONE LETTERALE DEI FRAMMENTI DI TESTO:
INTRODUZIONE
“Questo è il libro di Ahmad ibn Fadlan ibn al-Abbas ibn Rashid ibn Hammad, cliente di Muhammad ibn Sulayman, inviato del califfo Muqtadir al re dei Saqaliba, in cui egli narra tutto quello che vide nelle terre di Turchi, Khazari, Rus, Saqaliba, Baschiri ed altri, i loro variegati costumi, notizie dei loro re e del loro stato attuale.
Ahmad ibn Fadlan disse: Quando arrivò la lettera da parte di Almish ibn Yiltawar, re dei Saqaliba, indirizzata a Muqtadir, Comandante dei Credenti, nella quale questi chiedeva che gli fosse mandato qualcuno che potesse istruirlo nella Fede, insegnargli le leggi islamiche, costruirgli una moschea ed erigere un minbar, affinché le preghiere potessero essere pronunciate in suo nome nelle proprie terre e in ogni parte del proprio regno, chiedendo inoltre che gli fosse costruita una fortezza per la difesa contro i re suoi nemici, fu data una risposta favorevole. Il rappresentante del re dei Saqaliba a corte era Nadhir al-Harami. A me fu data la responsabilità di leggere la lettera al re, di fargli dono dei regali inviatigli e di supervisionare gli insegnanti e i giuristi. Al re venne assegnata una certa somma di denaro, da consegnargli per completare il lavoro di costruzione sopra menzionato e per pagare i salari dei giuristi e degli insegnanti; somma desunta dalle entrate della città conosciuta come Arthakhushmithan nel territorio del Khwarazm, la quale è parte delle proprietà di Ibn al-Furat. L’inviato mandato a Muqtadir dal re dei Saqaliba era un uomo chiamato Ibn Bashtu al-Khazari. L’inviato mandato dal califfo era Sawsan al-Rassi, un liberto di Nadhir al-Harami, insieme a Tikin il Turco e Bars il Saqlab. Io li accompagnai e, come ho già detto, consegnai i regali al re e a sua moglie, ai suoi figli e ai suoi fratelli, così come ai suoi generali, incluse delle medicine che aveva richiesto in una lettera spedita a Nadhir.
Partimmo dalla Città della Pace (Baghdad) di venerdì, l’11 Safar 309/21 giugno 921.”
“agente-mawla. […] questo era un legame di tipo politico, non legale. L’agente-mawla riceveva un titolo onorifico; titolo che non faceva in alcun modo riferimento alle sue origini sociali o al suo status attuale. Questi poteva essere musulmano oppure no come anche schiavo oppure nato libero. […] questo wala’ di tipo politico esisteva solo tra uomini detentori di potere politico, non tra persone ordinarie. […] Il padrone doveva essere sempre un personaggio eminente”.
SALVACONDOTTO DI VIAGGIO
“Teofilo chiese nella sua lettera che l’Imperatore [ovvero Ludovico], nella sua benevolenza, se potesse garantire loro un salvacondotto per viaggiare attraverso il suo impero e fornire qualsiasi aiuto o assistenza pratica di cui essi avessero bisogno per tornare in patria, dato che la strada tramite la quale erano giunti a Costantinopoli li aveva portati ad imbattersi in feroci e selvagge tribù primitive, e Teofilo non voleva che ripercorressero quella strada […]. Quando l’Imperatore [si tratta sempre di Ludovico] indagò più approfonditamente sulla ragione del loro arrivo, scoprì che essi appartenevano al popolo degli Svedesi. Sospettò che questi fossero stati mandati nel suo regno in qualità di spie […] così decise di trattenerli presso di lui […] e, se avessero provato ad essere sinceri, li avrebbe aiutati con le risorse necessarie per tornare alla propria madrepatria senza alcun rischio […], ma nel caso non si fosse dimostrata la loro sincerità li avrebbe rispediti insieme ai suoi inviati a Teofilo, affinché fosse questi ad occuparsene come meglio avrebbe creduto”.
OMAGGIO AL RE DEGLI SLAVI
L’omaggio al re degli “slavi”, che egli rende al re dei Khazari: dà a ciascuno secondo il suo stato – una pelle di zibellino. Se arriva una nave dal paese Khazar al paese degli “slavi”, allora il re uscirà a cavallo e conterà quello che c’è in lui, e ne prenderà un decimo. E se arrivano i Rus o altre persone di altre tribù con schiavi, poi il re, in realtà, sceglie solo uno su dieci teste.
Ho visto i Rus quando sono usciti dai loro viaggi mercantili e si accamparono presso il Volga. Non ho mai visto dei corpi con fisici più perfetti: alti come palme da dattero, biondi e vermiglio; non indossano né tuniche, né caftani, ma gli uomini indossano un indumento che copre un lato del corpo e lascia la mano libera.
USI E COSTUMI DEI RUS
Ogni uomo ha un’ascia, una spada e un coltello e a portata di mano in ogni momento. Le spade sono larghe e scanalate, di fattura Franca. Ogni uomo è tatuato, dalle unghie al collo, con colore verde scuro (verde o blu-nero) e sono ritratti alberi, figure, ecc.
Ogni donna porta su entrambi i seni una scatola di ferro, argento, rame o oro; il valore della scatola indica la ricchezza del marito. Ogni scatola ha un anello da cui pende un coltello. Le donne indossano collari d’oro e d’argento, del valore di 10.000 dirhem, pagate dal marito, alcune donne ne hanno molte. I loro ornamenti più pregiati, sono perle di vetro verde della stessa fattura degli oggetti di ceramica che si trovano sulle loro navi. Essi commerciano perline tra di loro e pagano un prezzo esagerato per esse, perché le comprano per un dirhem a testa. Le legano come collane per le loro donne.
La decorazione più magnifica tra loro [i Rus] sono perline verdi il tipo di ceramica che si trova sulle navi nuove…Per acquisirli fanno uno sforzo straordinario, compra uno di questi talloni per un dirham e un cordame di collane per le loro mogli. Rus dirhams – scoiattolo grigio senza pelliccia, coda, zampe anteriori e posteriori e teste, così come zibellino. Se manca qualcosa, allora da questa pelle diventa una moneta difettosa. Fanno accordi di scambio con loro e da lì non possono essere portati fuori, quindi sono venduti come merce. Non ci sono scale, ma solo barre standard di metallo. Comprano, vendono e misurano…”
E non appena le loro navi arrivano a questo molo 10, ognuno di loro va la subito, portando con sé pane, carne, cipolle, latte, per salirci usano un tronco conficcato nel terreno, che ha una forma che sembra una faccia di una persona, e intorno ci sono piccole immagini, e dietro queste immagini tronchi lunghi conficcati nel terreno. Quindi vanno davanti alla grande immagine e la adora, poi gli dicono: “Oh mio signore, sono arrivato da un paese lontano, e con me ragazze tante e tante teste e così tanti zibellini e così tante pelli”, – finché non nomina tutto ciò da cui proveniva da lui e dai suoi beni – “e sono venuto da te con questo dono” – poi lascia quello quello che avevo con me davanti a questo registro, – “quindi, ti auguro io un commerciante che ha numerosi dinari e dirhamundicida cui acquistare secondo quello che desidero e non mi contraddirei in nulla, cosa sto dicendo. ” Poi se ne va.
IGIENE PERSONALE DEI RUS
Sono le più sporche delle creature di Dio. Essi non hanno alcun pudore nel defecare e per la minzione, né si lavano dopo l’orgasmo, né si lavano le mani dopo aver mangiato. Così essi sono come asini selvatici. Quando sono venuti dalla loro terra, hanno ancorato le navi sulla riva del Volga, che è un grande fiume, costruiscono grandi case di legno sulla spiaggia, contenenti ciascuna da dieci a venti persone, più o meno. Ogni uomo ha un divano su cui si siede. Con loro vi sono belle schiave dentiste alla vendita ai commercianti: un uomo avrà rapporti sessuali con la sua schiava, mentre il suo compagno guarda. A volte interi gruppi si riuniranno in questo modo, ciascuno in presenza di altri. Un commerciante che arriva a comprare una schiava da loro, potrebbe attendere e guardare, mentre un Rus completa l’atto di un rapporto sessuale con ella.
Ogni giorno si devono lavare i loro volti e teste, e questo lo fanno nella maniera più sporca possibile: vale a dire, ogni mattina, una serva porta un grande bacino di acqua; lei offre questo al suo padrone e si lava le mani e il viso e i capelli – si lava e pettina con un pettine in acqua; Poi si soffia il naso e sputa nel bacino. Quando ha finito, la serva porta il bacino per la prossima persona, che fa altrettanto. Lei porta il bacino così in tutta la casa, e sua volta, ognuno soffia il naso, sputa e lava il viso e capelli in esso.
ATTIVITA’ E COMMERCI DEI RUS
Quando le navi arrivano in questo luogo di ormeggio, tutti vanno a terra con il pane, la carne, le cipolle, il latte e le bevande inebrianti e prendono un lungo pezzo di legno e lo pongono in posizione verticale esso raffigura una faccia di un uomo ed è circondato da piccole figure, dietro le quali sono eretti lunghi pali nel terreno. Il Rus si prostra davanti alla grande scultura e dice: “O mio Signore, io sono venuto da una terra lontana e ho con me tale e tale numero di donne e tale e tale numero di sables” (spade particolari), e si procede per enumerare tutti gli altri articoli che egli possiede. Poi dice: “Ti ho portato questi doni”, e stabilisce quello che ha portato con sé, e continua, “Vorrei che mi concedessi un mercantile con molti denari e dirhems, con le quali compare tutto quello che desidero, e non contestare quello che dico”. Poi va via.
Se ha difficoltà a vendere la sua merce e la sua permanenza si prolunga, tornerà con un dono una seconda o terza volta. Se ha ancora difficoltà ulteriore, porterà un dono a tutti i piccoli idoli per chiedere la loro intercessione, dicendo: “Queste sono le mogli del nostro Signore e le sue figlie e figli.” E si rivolge a ogni idolo, a sua volta, chiedendo l’intercessione e pregando con umiltà. Spesso la vendita va a buon fine più facilmente e dopo aver venduto, dice: “Il mio Signore ha soddisfatto i miei desideri, io devo ripagare”, e prende un certo numero di pecore o bestiame e li massacra, dà parte della carne in elemosina, porta il resto e lo deposita prima al grande idolo e poi ai piccoli idoli intorno ad esso, e appende i capi di bestiame o pecore sui pali. Nella notte, i cani vengono a mangiare tutto, ma quello che ha fatto l’offerta dice: “In verità, il mio Signore è contento di me e ha consumato il dono che ho portato.”
RITI FUNEBRI DEI RUS
Se una persona è malata viene messa in una tenda a parte con un po’ di pane e acqua e la gente non va a parlare con lui; non vengono nemmeno a vederlo tutti i giorni, soprattutto se è un uomo povero o uno schiavo. Se si riprende, torna a loro, e se muore, lo cremano. Se egli è schiavo, è lasciato ad essere mangiato dai cani e uccelli da preda. Se i Rus catturarno un ladro o brigante, lo appendono su un albero alto e lo lasciano appeso fino a quando il suo corpo cade a pezzi.
Se a morire è un uomo povero, gli costruiscono una piccola barca, ve lo piazzano all’interno e lo cremano. Quando a morire è un uomo ricco raccolgono la sua fortuna e la dividono in tre parti. Un terzo va alla sua famiglia, un terzo è speso per i suoi abiti funebri, ed un terzo è speso per l’alcol che essi bevono nel giorno in cui la schiava si uccide per venire poi cremata col suo padrone. Essi sono assuefatti all’alcol. […] Quando un capo muore, i membri della sua famiglia chiedono ai suoi schiavi, sia femmine che maschi, ‘Chi morirà con lui?’, e uno di loro risponde, ‘Io’. A questo punto le parole diventano vincolanti. Non c’è modo di tornare indietro. Non c’è nemmeno un’opzione. Sono di solito le schiave ad offrirsi.
Ho sentito che per la morte del loro capo hanno fatto molte cose, di cui il minimo era la cremazione, ed ero interessato a saperne di più. Alla fine mi è stato detto della morte di uno dei loro uomini eccezionali.
Lo misero in una tomba e misero un tetto sopra per dieci giorni, mentre hanno tagliato e cucito abiti per lui.
Quando l’uomo di cui ho parlato è morto, le sue ragazze schiave sonostate invitate a scegliere:
“Chi morirà con lui?” Una rispose, «io» e viene poi messa nella cura di due giovani donne, che vegliarono su di lei e la accompagnavano ovunque, al punto che di tanto in tanto lavano i suoi piedi con le proprie mani. Gli indumenti vengono fatti per i defunti e tutto il resto. Nel frattempo la schiava beve ogni giorno e canta, dando se stessa al piacere.
Quando il giorno è arrivato ed è tempo che l’uomo venga cremato e la ragazza con lui, vanno al fiume su cui vi era la sua nave. Ho visto che avevano tirato la nave sulla riva, e che avevano eretto quattro pali di legno di betulla e altro legno, e che intorno alla nave è stata fatta una struttura per tenere la grande nave di legno. Poi hanno tirato la nave fino a quando è stata posta in questa costruzione di legno. Poi cominciarono ad andare e venire e dire parole che non capivo, mentre l’uomo era ancora nella sua tomba e non era ancora stato esposto.
Il decimo giorno, dopo aver portato la nave fino su dalla riva del fiume, l’hanno custodito. Nel mezzo della nave, hanno preparato una cupola o padiglione di legno e adornato questo con vari tipi di tessuti. Poi hanno portato un divano e messo sulla nave e coperto con un materasso di broccato greco. Poi è arrivata una vecchia che chiamano l’Angelo della Morte, e lei si distende sul divano e sugli arredi menzionati. È lei che ha la responsabilità della vestizione e di organizzare tutte le cose, ed è lei che uccide la schiava. Ho visto che era una vecchia, grassa.
Quando sono venuti alla tomba hanno tolto la terra da sopra il legno, poi il legno, e tirato fuori il morto vestito con i capi in cui era morto. Ho visto che era divenuto nero dal freddo. Hanno posto la bevanda inebriante, la frutta, e uno strumento a corde nella tomba con lui. Poi hanno tolto tutto questo.
Il morto non ha cattivo odore, e solo il suo colore ad essere cambiato. Lo vestono con pantaloni, calze, stivali, una tunica, e caffettano di broccato con bottoni d’oro. Hanno messo un cappello di pelliccia di broccato sulla sua testa. Poi lo portarono nel padiglione a bordo della nave. Lo siedono sul materasso e lo appoggiano ai cuscini. Hanno portato la bevanda inebriante, la frutta, e piante profumate, che hanno messo con lui, poi pane, carne e cipolle, che hanno messo di fronte a lui. Poi hanno portato un cane, che hanno tagliato in due e messo nella nave. Poi hanno portato le armi e le hanno poste al suo fianco. Poi hanno preso due cavalli, li hanno fatti correre fino a che non hanno sudato, poi tagliati a pezzi con una spada e messi anch’essi sulla nave. Successivamente hanno ucciso un gallo e una gallina e li hanno gettati in nave. La schiava che ha voluto essere uccisa, è andata qua e là in ciascuna delle tende, e ha avuto un rapporto sessuale con i padroni e ha detto, “dì al tuo Signore ho fatto questo per amore di lui”.
Venerdì pomeriggio hanno portato alla ragazza schiava una cosa che avevano fatto, che assomigliava a un telaio della porta. Mise i piedi sui palmi degli uomini e la sollevarono sopra questa cornice. Parlava, diceva qualche parola e l’hanno abbassata di nuovo. Una seconda volta e una terza volta e ha continuato a fare come le due volte precedenti.
Poi le hanno portato una gallina; ha tagliato la testa, che ha buttato via, e poi ha preso la gallina e l’ha messa nella nave. Ho chiesto all’interprete ciò che aveva fatto. Egli rispose: “La prima volta che l’hanno sollevato, ha detto, “Ecco, io vedo il mio padre e la mia madre”.
La seconda volta, ha detto, “vedo tutti i miei parenti morti seduti”.
La terza volta, ha detto, “vedo il mio padrone seduto in Paradiso e il Paradiso è bello e verde. Con lui ci sono uomini e ragazzi suoi servi, mi chiama Portami a lui”.
Ora l’hanno portata alla nave. Si toglie i due braccialetti che indossava e li ha dato alla vecchia chiamata l’Angelo della Morte, che doveva ucciderla; poi si è tolta i due anelli che lei indossava e li ha dati alle due ragazze che l’avevano servita, ed erano le figlie della donna chiamata l’Angelo della Morte. Poi l’hanno sollevata sulla nave, ma non l’han fatta entrare nel padiglione.
Gli uomini sono venuti con scudi e bastoni. Le viene data una tazza di bevanda inebriante; ha cantato nel prenderla e bevve. L’interprete mi ha detto che in questo modo dà l’addio a tutti i suoi compagni. Poi le è stata data un’altra tazza; lei la prese e cantò per un lungo periodo di tempo, mentre la vecchia la incitava a bere e andare nel padiglione dove si trovava il suo padrone.
Ho visto che lei era distratta; allora la vecchia le abbassò la testa e la fece entrare nel padiglione ed è entrata con lei. Allora gli uomini cominciarono a colpire con i bastoni gli scudi, in modo che le sue grida non potessero essere sentite e le altre ragazze schiave non avrebbero poi cercato di sfuggire alla morte con i loro padroni.
Allora sei uomini vanno nel padiglione e ognuno ha ancora rapporti sessuali con la ragazza. Poi la posarono a fianco del suo padrone; due tenevano i piedi e due le mani; la vecchia donna conosciuta come l’Angelo della Morte rientrò e avvolse una corda intorno al collo della schiava, dando le estremità incrociate ai due uomini perchè la tirassero. Poi si avvicinò a lei con una grande lama di un pugnale, che le tuffò tra le costole più volte, e gli uomini la strangolarono con la corda fino alla sua morte.
Poi il parente più prossimo del morto, dopo che avevano messo la ragazza che hanno ucciso accanto al suo padrone, è venuto, ha preso un pezzo di legno acceso da un fuoco, e camminava all’indietro con la parte posteriore della sua testa verso la barca e il viso rivolto verso il popolo, con una mano che tiene il bastone acceso e l’altra che copre il suo ano, essendo completamente nudo, con lo scopo di dar fuoco al legno che era stato posto sotto la nave. Poi la gente si avvicinò con l’esca e altre torce, ciascuno in possesso di un pezzo di legno di cui aveva dato fuoco e che ha messo nel mucchio di legna posizionato sotto la nave. Allora le fiamme divorano il legno, poi la nave, il padiglione, l’uomo, la ragazza, e tutto ciò che è nella barca. Un potente, vento di paura cominciò a soffiare così che le fiamme divennero feroci e più intense.
Uno dei Rus era al mio fianco e ho sentito parlare con l’interprete, che era presente. Ho chiesto all’interprete quello che aveva detto.
Egli rispose: ha detto: “Voi siete pazzi arabi”.
“Perché?” Gli ho chiesto.
Egli disse: “Tu prendi le persone che sono più care e onorate e le metti nel terreno dove gli insetti e i vermi li divorano. Noi lo bruciamo in un momento, in modo che egli entri in Paradiso in una sola volta.”
Poi si mise a ridere fragorosamente. Quando ho chiesto perché ha riso, ha detto: “Il suo Signore, per amore di lui, ha inviato il vento per portarlo via in un’ora”.
E in realtà un’ora non era passato prima che la nave, il legno, la ragazza, e il suo padrone divenissero altro che cenere e cenere.
Poi hanno costruito nel luogo in cui era stata arsa la nave, issata dal fiume qualcosa di simile a una piccola collina rotonda, al centro del quale eressero un grande palo di legno di betulla, su cui hanno scritto il nome dell’uomo e il nome del re Rus e se ne sono andati.
IL RE DEI RUS
E’ consuetudine del re dei Rus, avere con lui nel suo palazzo, quattrocento uomini, i più coraggioso dei suoi compagni e quelli su cui si può contare. Questi sono gli uomini che muoiono con lui e si lasciano uccidere per lui. Ognuno ha una schiava che lo serve, che gli lava la testa, e prepara tutto ciò che mangia e beve, e ha anche un’altra schiava con cui dorme. Questi quattrocento uomini siedono sul trono del re, che è immenso e incastonato con belle pietre preziose. Con lui sul trono si siedono quaranta schiave destinate al suo letto. Di tanto in tanto ha un rapporto sessuale con una di loro, in presenza dei suoi compagni di cui abbiamo parlato, senza scendere dal trono. Quando ha bisogno di rispondere a una chiamata della natura, usa una bacinella. Quando vuole cavalcare, il suo cavallo viene portato fino al trono e lui monta. Se vuole smontare, cavalca in modo che egli possa scendere sul trono. Ha un tenente che comanda le sue truppe, fa la guerra ai suoi nemici, e svolge il suo ruolo nei confronti dei suoi sudditi.
Gli uomini che non rivestono questo ruolo sono inclini ad occuparsi della concia e non si vergognano di questa occupazione umile. Il panno prodotto in queste terre e località è famoso, in particolare quello della loro capitale, che si chiama Kyawh.
Città famose e celebri dei Rus sono Crsk e Hrqh.
Fonte: academia.edu/Università Federico II di Napoli
Fonte: skayler-ulver.blogspot.com
Fonte e testo integrale: hist.msu.ru
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