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dicembre 7, 2018
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IL TERMINE RAZZA ARIANA DERIVA DAL NOME DEL MONACO ERETICO ARIO
Come può un nome di persona indicare un genere umano?
I nazisti attraverso magici giochi di prestigio trasformarono in “razza” il nome di una persona Ario.
La dottrina del monaco eretico venne chiamatae “Arianesimo”.
Ario nacque in Libia nel 256 dopo Cristo, dunque si trattava di una persona con evidenti tratti somatici nord africani. Ben lontani quindi dalle sembianze teutoniche pretese da Hitler.
CENNI STORICI RIGUARDANTI LA VITA DI ARIO
La vita
Ario (ca. 256-336) fu il più famoso eresiarca del IV secolo e diede il nome all’arianesimo, la dottrina, grande alternativa del credo cattolico nel mondo cristiano dell’epoca: tuttavia egli non contribuì granché allo sviluppo teologico di questo pensiero.
Ario nacque in Libia nel 256 ca., e poco si sa della prima parte della sua vita: è verosimile che avesse studiato presso la scuola di Luciano di Antiochia, dove conobbe sia Asterio di Cappadocia che Eusebio di Nicomedia.
Nel 306 A. prese le parti di Melezio di Licopoli, fondatore della Chiesa dei martiri confessori, di cui Ario faceva parte, contro il vescovo di Alessandria, Pietro, con il quale, però, Ario si riconciliò in seguito, tant’è vero che fu ordinato diacono da Pietro stesso nel 311.
Nel 313, Ario fu fatto presbitero dal successore di Pietro, Achilleo, e chiamato a condurre una chiesa nel rione Baucalis di Alessandria.
Si impegnò a fondo nel combattere alcune eresie come lo Gnosticismo e il Modalismo o Sabellianismo, ma nel 319 entrò in rotta di collisione con il suo nuovo vescovo, Alessandro, accusandolo di insegnare che il Figlio fosse identico al Padre, mentre Ario ormai predicava i principi della sua dottrina, l’arianesimo, che in seguito sarebbe stata qualificata con l’infamante etichetta di “eresia”.
Alessandro convocò nel 321 un sinodo di circa cento vescovi egiziani e libici e fece scomunicare Ario, fuggito nel frattempo in Palestina. Qui l’eresiarca scrisse una lettera a Eusebio di Nicomedia, da cui venne accolto a braccia aperte.
Eusebio creò un centro di riferimento per l’arianesimo nella propria diocesi e si fece promotore dell’arianesimo a livello di dispute teologiche; Ario, dal canto suo, come un moderno comunicatore, compose canzoni e slogan per propagandare le sue idee presso la gente comune, come i marinai e viaggiatori.
Nel frattempo la posizione degli ariani venne rinforzata da alcuni sinodi locali, tenuti in Palestina e in Bitinia e favorevoli ad Ario e al positivo ascendente di Eusebio sull’imperatore Costantino, che aveva legalizzato il Cristianesimo nel 313.
Dopo qualche anno, nel 325, l’imperatore si decise di convocare un concilio per dirimere la questione fra cattolici ortodossi e ariani.
Il Concilio Ecumenico (il primo della storia del Cristianesimo) ebbe luogo a Nicea ed iniziò il 20 Maggio 325 alla presenza di circa 220 vescovi (secondo altri autori, 318), in larghissima maggioranza della parte orientale dell’Impero.
Ario comparve, portando un atto di fede, stracciato, tuttavia, in pubblico ed anche l’intervento di Eusebio non fu tra i più felici: egli lesse un documento, allineato sulle posizioni ariane, dove si affermava molto palesemente che Cristo non era Dio.
Questa terminologia senza compromessi alienò i favori dei moderati, che, dopo estenuanti discussioni, aderirono al cosiddetto “Credo Niceno”, dove, a proposito della natura di Cristo, si ribadiva il termine homooùsion (consustanziale, cioè della stessa sostanza del Padre e generato, e non creato).
L’arianesimo fu condannato e Ario fu mandato in esilio in Il lirico: i suoi libri vennero bruciati.
Tuttavia, i sostenitori dell’arianesimo, rimasti in maggioranza, persuasero l’imperatore a richiamare Ario dall’esilio nel 331 (o 334) (Eusebio era già stato richiamato nel 328) ed a progettare un suo rientro nella Chiesa, dopo che Ario era riuscito a convincere Costantino stesso della sua ortodossia in un colloquio privato.
Ma il vecchio eresiarca, oramai ottantenne, morì improvvisamente per strada a Costantinopoli nel 336.
La dottrina
Ario si formò presso la Scuola di Antiochia, la quale era famosa per la sua propensione a leggere alla lettera i testi sacri: la tesi fondamentale che egli elabora è che l’unità di Dio è incompatibile con la pluralità delle persone divine. Con tale affermazione, prende il via la nota “disputa trinitaria” che durerà per tutto il IV secolo d.C. Ad avviso di Ario, il Figlio di Dio, Cristo (cioè il Verbo) non ha la stessa natura del Padre (Dio), ma è la sua prima creatura e, insieme, il tramite per la creazione degli altri esseri. L’inevitabile conseguenza di questa posizione è che l’incarnazione e la resurrezione di Cristo non sono eventi divini e che la redenzione non avviene attraverso di essi o tramite la mediazione della Chiesa. Contro Ario si schiera Atanasio (295-373), vescovo di Alessandria, che propugna l’unità e la Trinità di Dio: tesi che, com’è noto, uscirà vincitrice dal Concilio di Nicea, il quale sancirà la dottrina dell’unità di Dio e della divinità del Figlio. La polemica nasceva dalla terminologia greca impiegata: per caratterizzare la nozione di divinità, infatti, si utilizzavano i termini filosofici “sostanza” (ousìa in greco) e “persona” (hypòstasis in greco). Ora, Ario sostiene la non “consustanzialità” (homousìa in greco) del Padre e del Figlio: essi non sono fatti della stessa sostanza e solamente il Padre è Dio.
L’insegnamento ortodosso del Cristianesimo ai tempi di Ario propugnava dunque la dottrina di Dio Padre e Dio Figlio come due persone distinte con una sola essenza.
La principale preoccupazione di Ario era di negare che così potessero coesistere due Dei oppure che non si scivolasse nel “moralismo”, la dottrina che affermava che le persone della Trinità non erano altro che “modi” di essere e di agire dell’unico Dio.
Il fulcro dell’arianesimo era invece la negazione della consustanzialità del Figlio con Dio Padre. Secondo Ario, il Padre era eterno, la sorgente, cioè, non originata di tutta la realtà, mentre il Figlio, sebbene fosse il primo nato fra tutte le creature e il creatore del mondo, era “dissimile” (anòmoios in greco) e inferiore al Padre “in natura e dignità”, perché generato e creato dal Padre stesso, prima di tutti i tempi. Tuttavia, “ci fu un tempo in cui il Figlio non c’era”: così recitava una celeberrima frase di Ario.