Cultura Il genocidio cambogiano, Pol Pot e i Khmer Rossi

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settembre 6, 2019
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DESCRIZIONE

La vicenda cambogiana sotto la dittatura dei Khmer Rossi è forse la sintesi di tutto il percorso storico fatto dall’utopia comunista attraverso i suoi dittatori, le sue rivoluzioni ma sopratutto attraverso i suoi massacri. Nell’azione di Pol Pot e dei suoi seguaci si raggiunge l’apice dell’orrore scaturito da una folle teoria rivoluzionaria. Lo spopolamento di intere città, la costruzione di una nuova civiltà contadina, il mito della monocultura risicola, l’annullamento di qualsiasi legame o sentimento umano od il massacro di intere minoranze e classi sociali, sono solo gli aspetti più evidenti della società che il dittatore cambogiano ha tentato di creare. In un intreccio storico di colonialismo, imperialismo e comunismo ed in un’area geografica tra le più esplosive dell’intero pianeta, è stato perpetrato quello che forse può essere considerato il più grande massacro di ogni tempo.

 

La nascita dei Khmer Rossi

Nel ’60, dopo l’avvenuta rottura con i comunisti vietnamiti, ventuno esponenti comunisti khmer fondano il Partito dei lavoratori di Kampuchea diretto da Tou Samouth, Nuon Chea, Saloth Sar e Ieng Sary, che, cinque anni dopo (’65), diventa il Partito Comunista di Kampuchea diretto da Saloth Sar. Il gruppo dirigente del partito si da quindi alla macchia dove crea i primi nuclei combattenti nelle province di Kratié e Ratanakiri; queste unità sono formate dalle tribù dei khmer Leu, individui vissuti isolati dalla civiltà (e perciò esenti dalle sue contaminazioni), spesso completamente analfabeti e quindi facilmente indottrinabili. Questi gruppi si distinguono per fedeltà e crudeltà ed agiscono in una regione in alta quota coperta da foreste, ideale per condurre una guerriglia. L’incontro tra le teorie degli intellettuali “francesi” e la rabbia sociale delle classi più disprezzate crea una miscela esplosiva che si scatena in una violenza senza precedenti.

 

Inizia il terrore

Tutto il “popolo nuovo” viene diviso in due categorie: i Nuovi, o popolo del 17 aprile o ’75, ed i Vecchi, o popolo del 18 marzo o ’70 dove i nuovi sono coloro che sono stati “liberati” per primi dai khmer rossi, mentre gli altri sono coloro che avevano vissuto nelle aree sotto il controllo dell’esercito di Lon Nol, o che comunque avevano avuto qualche legame con esso o appartenevano a qualche categoria corrotta. Contemporaneamente la Cambogia viene totalmente isolata dal resto del mondo ed il paese diviene un immenso campo di lavoro dove vengono aperti cantieri ciclopici per la costruzione di immense opere idrauliche o per la riconversione alla monocultura risicola di tutte le zone agricole. Tutto questo viene fatto utilizzando la manodopera costituita dalle folle precedentemente deportate. Ogni individuo deve lavorare e dare il suo contributo verso l’avvenire radioso promesso dall’Angkar. Gli orari di lavoro massacranti, la mostruosa violenza dei Mekong e degli Yotear* sulla popolazione la penuria di cibo provocata dalle carestie provocate dalla sconsiderata politica agricola, cominciano però subito a mietere migliaia di vittime.

 

Una nuova società

L’azione dei khmer rossi non si limita solamente alla costrizione fisica del lavoro nei grandi cantieri, ma colpisce anche la sfera sociale della cultura cambogiana tentando di distruggere con ogni mezzo qualsiasi aspetto che possa essere ricondotto al passato. In questo senso si inquadra l’eliminazione dei nomi propri sostituiti da appellativi generici; la persecuzione religiosa contro il clero buddista, la minoranza Cham di fede islamica, le minoranze etniche Thai (ovest del paese) e khmer Krom (di origine vietnamita); la sostituzione dei tradizionali sistemi di coltivazione con la monocultura risicola; la distruzione di tutti legami famigliari ed affettivi per minare l’istituzione della famiglia, fino ad allora cellula base della società; il divieto di contrarre matrimoni che non siano autorizzati dalle autorità e l’imposizione di unioni coniugali da parte delle stesse. Ogni individuo vive nella comunità assegnatagli dall’Angkar ed in essa lavora nei cantieri di competenza: tutti hanno un compito ed alla fine della giornata chi non ha prodotto quanto stabilito ne subisce le estreme conseguenze. Ogni dieci giorni c’è un giorno di pausa che è totalmente occupato da interminabili sedute di rieducazione socio-politica. Ognuno è totalmente soggetto al potere assoluto che i mekong possono esercitare e chi si lamenta per un qualsiasi motivo, viene assassinato con un colpo di zappa sulla nuca o soffocato con un sacchetto di plastica.

E’ proibito conservare oggetti provenienti dalla città ma anche possedere un mestolo od un cucchiaio: tutto deve essere messo in comune. Manifestare i propri sentimenti può costare la vita e persino l’abbigliamento è uniformato e tutti devono portare la divisa nera dei contadini. L’ideologia dei khmer rossi considera “buoni” solo coloro che non hanno avuto contatti con la vecchia società e quindi cerca di plagiare i bambini educandoli ad un estremo individualismo. Significativamente il sistema di spie creato dall’Angkor fa larghissimo uso di bambini i quali sono tenuti a spiare persino i propri genitori per poter riferire ai superiori eventuali mancanze o complotti.

 

L’ideologia dei Khmer Rossi

La formazione del pensiero di Pol Pot, avviene dopo un cammino in cui la formazione in Francia dei dirigenti, la situazione geopolitica del sud-est asiatico, l’esperienza del Partito Comunista Indocinese di Ho Chi Min e l’esempio di altre realtà basate sul modello marxista-leninsta rappresentano tappe fondamentali per lo sviluppo dell’ideologia del partito. Se alla miscela di queste esperienze aggiungiamo due caratteri fondamentali della cultura khmer quali l’orgoglio nazionale e l’atavico odio nei confronti dei vietnamiti, otteniamo i principi che, già da prima della presa del potere, costituiscono la linea politica del Partito. Anche il fascino che l’antica potenza di Angkor ha sui khmer rossi, contribuì a far chiudere su se stesso il regime ma anche l’intera nazione cambogiana, isolata dal resto del mondo, e spinta verso un modello socio-economico che avrebbe dovuto garantire l’autosufficienza totale della nazione. La follia della purificazione razziale rivolta contro i Vecchi e le minoranze etniche è perciò tesa alla costruzione di un nuovo popolo khmer esente da ogni corruzione culturale ed ideologica: questo popolo nuovo sarebbe dovuto essere formato dai bambini e dagli adolescenti cresciuti sotto la “protezione” dell’Angkar. La follie politica, però, annientò l’intero tessuto sociale ed economico del paese (proprio quello che avrebbe dovuto cambiare) creando una spirale di odio e terrore che finisce, in poco tempo, per divorare l’Angkar stesso.

 

“Il punto culminante del terrore è raggiunto quando la polizia di stato comincia a divorare i propri figli, quando il carnefice di ieri diventa la vittima di domani”**. Tutto il partito, in seguito anche ai clamorosi insuccessi agricoli ed economici che presto diventano anche militari, entra in una spirale di sospetto ed odio che porta a sospettare dichiunque di un complotto contro l’Angkar. Tutti gli insuccessi, di qualsiasi natura essi siano, sono imputati a fantomatici agenti vietnamiti oppure a piani della CIA americana. Nelle zone dove i piani agricoli non danno i risultati sperati (e come potrebbero!!!) i quadri del partito sono subito accusati di collaborazionismo con i vietnamiti o con gli americani e sono ben presto eliminati. Nel ’76 le milizie della Zona Speciale (il paese era stato suddiviso in sei zone) e quelle della Zona est decimano i “traditori” della Zona Nord, nel ’77 le truppe del Sud- Ovest intervengono nella zona del Nord-Ovest mentre nel ’78, nella Zona Est, 100.000 persone, vengono massacrate con l’accusa di collaborazionismo filo- vietnamita. Tutta la dirigenza del partito, ma anche l’intera popolazione, è comunque soggetta a questo processo di autodistruzione: i campi di sterminio per “nemici interni” spuntano in tutto il paese. Tra di essi il più “celebre” è quello di Tuol Seng a Phnom Penh dove muoiono almeno 20.000 persone, la maggior parte dei quali ex quadri del partito comunista sospettati di un qualche complotto o comunque in disaccordo con la linea del partito.

 

Le vittime del genocidio

La stampa internazionale, ma anche larga parte delle forze politiche, hanno, all’epoca dei fatti, ampiamente sottovalutato l’effettiva gravità della tragedia cambogiana sia per la totale chiusura del paese ordinata da Pol Pot sia per il disinteresse, spesso anche convenienza politica, dei partiti e dei governi occidentali. Alcune notizie appaiono sporadicamente già nell’autunno del ’74 (Washington Post, New York Times) e nel ’77 in Francia con la pubblicazione di Cambodge, année zero di padre Francois Pouchard, ma è solo nel gennaio del ’79, quando i vietnamiti ritrovano i documenti dei khmer rossi inerenti i campi di sterminio, che la reale portata del genocidio appare in tutta la sua mostruosità. A seguito dei ritrovamenti viene svolto un processo farsa imputando a Pol Pot e Yeng Sary le accuse di genocidio: i due sono gli unici condannati (in contumacia) mentre per gli altri responsabili non viene presa nessuna iniziativa. Anzi alcuni di loro, tra cui Hun Sen, trovano il modo di riciclarsi nella vita politica cambogiana e ricoprono attualmente posti importanti nelle istituzioni cambogiane.

 

Le cifre sul totale delle vittime causate dal regime dei khmer rossi sono spesso discordanti (molto più che in altri casi) ma è innegabile che i crimini siano tanto efferati da poter parlare di genocidio. Alcune stime, peraltro discordanti, sono:

l’ex presidente Lon Nol giudica le vittime dei khmer rossi in 2.500.000 di individui;
Pen Sovan, ex segretario del Partito popolare rivoluzionario della Kampuchea, parla di 3.100.000 vittime;
gli studi di Ben Kiernan propongono un totale di 1.500.000 di morti;
David Chandler, che ammette di non aver effettuato una valutazione analitica, parla di 800.000-1.000.000 come cifra minima
uno studio della CIA, basato su dati approssimativi e considerando la denatalità indotta, parla di 3.800.000 persone morte tra il 1970 ed il ’79 ***
infine il volume Lo stato criminale di Yves Ternon giudica tra 1 e 2 milioni le vittime causate dal regime di Pol Pot

Fonte: http://freeweb.dnet.it/liberi/cambogia/cambogia.htm




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