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maggio 28, 2020
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Il Fascismo sostenne di rappresentare una terza via rispetto al socialismo internazionale ed al capitalismo liberale, fornendo un’alternativa economica alle due ideologie precedentemente esistenti.
I caratteri fondamentali delle dottrine economiche fasciste sono rappresentati da: corporativismo, socializzazione, dirigismo, autarchia, socialismo nazionale, sindacalismo nazionale. Queste caratteristiche possono essere ritrovate sia nelle politiche economiche dei fascismi di governo sia nei principi di tutti i movimenti fascisti senza incarichi dall’inizio del novecento ad ora, sebbene ognuno di essi abbia dato a queste caratteristiche un peso diverso, a seconda del luogo e del periodo storico.
Il corporativismo viene favorito in un’ottica di collaborazione di classe, in contrapposizione alla lotta di classe marxista ed all’individualismo capitalista, sostenendo che le disuguaglianze tra gli uomini sono feconde e positive (contrariamente a quanto sostenevano i socialisti), ma anche la necessità di convogliare la forza delle singole classi sociali nell’alveo dell’interesse nazionale, conferendo allo Stato un ruolo di intermediario nelle relazioni tra esse (a differenza dei liberalcapitalisti). Si ritiene infatti che la prosperità derivi dal raggiungimento di una rinascita spirituale e culturale dello Stato stesso e da tale capacità di intermediario e risolutore di divergenze classiste. I governi fascisti offrirono infatti benefici alle imprese, tentando di incoraggiare i profitti e la crescita di una grande industria pesante (ancora assente in Italia al tempo), facendo però in modo che tutte le attività economiche prestassero servizio per l’interesse nazionale.
Il dirigismo economico identifica invece un’economia in cui il governo esercita una forte influenza direttiva controllando produzione ed allocazione di risorse. In generale, eccetto la nazionalizzazione di alcune industrie, le economie fasciste inizialmente sono sempre state basate su proprietà ed iniziativa privata condizionate al servizio nei confronti dello Stato. Successivamente, in alcuni casi (Repubblica Sociale Italiana anche se rimase lettera morta e Argentina peronista ad esempio), si arrivò alla socializzazione della proprietà dei mezzi di produzione tra i lavoratori di ogni grado dell’impresa.
L’autarchia fu uno degli obiettivi principali dei governi e dei movimenti fascisti. L’intenzione dei provvedimenti autarchici è quella di realizzare l’autosufficienza economica della nazione, eliminando il ricorso alle importazioni dall’estero e favorendo perciò lo sviluppo del lavoro e della produzione nazionale interna.
Durante i primi quattro anni di governo, dal 1922 al 1926, Mussolini tenne una politica economica improntata al laissez-faire sotto il Ministero delle Finanze di Alberto De Stefani: incoraggiò la libera concorrenza, ridusse le tasse, abbatté regolamentazioni economiche e restrizioni al commercio e ridusse inoltre la spesa pubblica riequilibrando il bilancio, privatizzando alcuni monopoli governativi (come la Zecca di Stato). Alcune leggi introdotte precedentemente dai socialisti, come la tassa sulle eredità, furono abrogate.
Nel 1925 si iniziò anche a distruggere la cartamoneta al fine di frenare l’inflazione. Complessivamente furono inceneriti 320 milioni di lire.
Alla presenza del ministro Alberto De Stefani vengono scaricati i sacchi pieni di cartamoneta destinati all’incenerimento
I sacchi contenenti cartamoneta prima di essere inceneriti vengono verificati
Durante questo periodo la ricchezza aumentò e la produzione industriale superò il picco raggiunto durante il periodo bellico alla metà degli anni venti, pur con un aumento dell’inflazione. Complessivamente, in questo primo periodo, la politica economica fascista seguì principalmente le linee del liberalismo classico, con l’aggiunta di tentativi di stimolo della produzione domestica e di equilibrio di bilancio.
Dal 1934 tra gli obbiettivi principali della politica economica venne posta l’autarchia, ossia l’autosufficienza agricola, industriale e nel reperimento di risorse e, più in generale, l’indipendenza economica nazionale. Vennero imposte significative tariffe doganali e barriere commerciali, in ottica di aumento della competitività dei prodotti italiani sul mercato interno.
Il Fascismo italiano adottò inoltre una politica di spesa pubblica keynesiana per stimolare l’economia attraverso il settore pubblico. Tra il 1929 ed il 1934 la spesa per i lavori pubblici triplicò e superò la spesa per la difesa, diventando l’elemento di maggiore rilevanza del bilancio governativo.
Nel 1935, in seguito all’invasione dell’Etiopia, la Società delle Nazioni decretò l’applicazione di sanzioni commerciali nei confronti dell’Italia. Questo spinse Mussolini a raggiungere l’autarchia economica più rapidamente, rafforzando l’idea che l’autosufficienza fosse essenziale per la sicurezza nazionale, riducendo l’impatto delle sanzioni. In particolare, l’Italia proibì severamente la maggior parte delle importazioni e il governo cercò di persuadere i consumatori a comprare prodotti fatti in Italia. Ad esempio, fu lanciato lo slogan “Preferite il Prodotto Italiano”. Nel maggio dello stesso anno, il governo obbligò individui e imprese a consegnare tutti i titoli esteri alla Banca d’Italia. Il 15 luglio 1936 le sanzioni economiche sull’Italia furono rimosse, ma la politica di indipendenza economica non subì mutamenti.
Il 19 gennaio 1939 venne istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che sostituiva la Camera dei deputati, e tenne la sua seduta inaugurale il 23 marzo dello stesso anno.
Alcuni studiosi ed analisti affermano che esista un sistema economico identificabile nel fascismo distinto da quelli propugnati da altre ideologie, comprendente caratteristiche essenziali condivise dagli Stati fascisti. Altri sostengono viceversa che, sebbene le economie fasciste abbiano alcune caratteristiche in comune, non ci sia nessuna forma distintiva di organizzazione economica fascista.
Stanley Payne sostiene che, nonostante i movimenti fascisti difendessero il principio della proprietà privata (appoggiata “coerentemente con la libertà e la spontaneità della personalità individuale”), obiettivo comune di tutti i movimenti fascisti fu l’eliminazione dell’autonomia o, in alcuni casi, del capitalismo di larga scala.
Lo storico Gaetano Salvemini nel 1936 sostenne che il fascismo rendeva i contribuenti responsabili delle imprese private, poiché “lo Stato paga per gli errori dell’impresa privata… il profitto è privato ed individuale. La perdita è pubblica e sociale.
Fonte: Wikipedia
CONCLUSIONI E COMMENTO
Spesso abbiamo sentito nei comizi di Mussolini attaccare sia le nazioni bolsceviche (URSS) e sia le nazioni plutocratiche (USA). Gli storici liquidano sbrigativamente il tutto come propaganda. In realtà il sistema economico italiano tentò di trovare un compromesso tra il comunismo ed il capitalismo, col risultato di inimicarsi entrambe le super potenze.
In altre parole la seconda guerra mondiale non fu soltanto lo scontro fra 3 ideologie ma anche fra 3 sistemi economici. Tutt’ora molte soluzioni economiche e sociali di quel tempo sono ancora presenti in Italia.
Il confronto con economie aggressive e speculative ha portato costantemente il nostro paese ad arrancare 80 anni fa come oggi.
Sistemi sociali diversi per non crollare non dovrebbero avere interscambi commerciali e questo spiega l’accelerazione fascista per il raggiungimento dell’autarchia, cioè l’indipendenza economica.
Unico comune denominatore fra i 3 sistemi economici sono solo le soluzioni economiche e sociali adottate da sempre e ovunque per affrontare tutte le crisi, le guerre, le carestie, eccetera.
E’ probabile quindi che in questo periodo torneremo a vedere manifesti e campagne pubblicitarie molto simili a questi dell’epoca, indifferentemente dallo schieramento politico.